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Sharing economy è un altro di quei termini ormai in voga in questo periodo. Diversi articoli di quotidiani e riviste di settore hanno descritto questo modello economico, spesso però il termine è stato usato in relazione ad articoli sulle controversie legali tra aziende. Pensiamo ad esempio alla sentenza di qualche tempo fa del Tribunale di Milano che ha sospeso il servizio UberPop.

La sharing economy o consumo collaborativo

Cosa intendiamo per sharing economy? Per meglio dire, visto che siamo italiani, in cosa consiste il consumo collaborativo? Nel consumo collaborativo si scambiano beni e/o servizi. Ad esempio si può mettere a disposizione la propria casa a chi abbia bisogno di un alloggio temporaneo in un’altra città o si può offrire un passaggio in auto a chi deve percorrere lo stesso tragitto.

In questo senso aziende come Uber, AirBnb e altre simili, offrono un servizio di collegamento tra utenti che fanno sharing. Attraverso le loro piattaforme persone che mettono a disposizione i loro beni possono incontrare persone che hanno bisogno di tali beni. Questo servizio di collegamento può essere remunerato con una percentuale del costo pagato dall’utente che ha usufruito di alloggi, passaggi in auto ecc.

La forza di queste piattaforme sta anche nell’utilizzo che fanno dei social media per acquisire il proprio bacino di clienti. Inoltre, i compensi inferiori chiesti dagli utenti per l’uso dei propri beni rispetto ai prezzi richiesti da strutture ricettive classiche quali alberghi e ristoranti (o dai tassisti per quanto riguarda i trasporti), hanno permesso la nascita di questo nuovo modello di business digitale.

Allo stesso tempo è nato il clamore mediatico dovuto alle controversie tra lobby del trasporto e piattaforme di car sharing o tra ristoratori ed albergatori verso piattaforme legate alla ricettività e alla ristorazione. Controversie dovute alla mancanza di regolamentazione di questo nuovo settore di mercato che può determinare distorsioni.

Il futuro della sharing economy

Tracciata una nuova rotta che viene seguita da molti, si può più tornare indietro? Credo di no, soprattutto in questo caso. Il consumo collaborativo è un modello economico reale ed i vari servizi associati ad esso sono una realtà da cui non si può prescindere.

La questione riguarda sempre più la capacità delle norme di seguire le evoluzioni del mercato e regolamentare il settore perché alcuni attori non siano favoriti a scapito di altri. Ormai sappiamo che con l’avvento del digitale si creano mercati più velocemente che nel passato e che anche le persone sono più reattive nel cogliere i cambiamenti grazie allo scambio più veloce di informazioni.

La Commissione Europea ha discusso di recente sull’argomento della sharing economy esponendo le proprie importanti opinioni in merito, soprattutto in materia di Iva e tassazione dei guadagni. Non può essere giusto che gli imprenditori per avviare le proprie attività debbano seguire stringenti regole e vedere i loro guadagni sottoposti a tassazione più o meno onerosa mentre altri no, sebbene offrano quasi gli stessi servizi.

Allo stesso tempo non si può non accettare il cambiamento e rifiutare in toto che possa esistere un nuovo tipo di concorrenza. Grazie a regole condivise si potrebbe fare in modo che tali servizi possano essere forniti solo ad un certo target o che possano includere solo servizi di fascia bassa lasciando ai professionisti del settore la possibilità di rivolgersi ad utenti che vogliano qualcosa di diverso. Può essere diverso il pernottamento in un’abitazione privata rispetto ad un albergo, quindi possono essere soddisfatti due segmenti diversi di uno stesso mercato. Ci può essere spazio per tutti.

Sharing economy, la pagina di Wikipedia.

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